Ad un primo sguardo, almeno secondo l’immaginario di tanti dei loro sostenitori e detrattori, Bitcoin e le criptovalute rappresentano da un punto di vista sociologico e antropologico, un tentativo radicale di rifondare il concetto di fiducia su basi puramente matematiche e algoritmiche, bypassando le istituzioni tradizionali e le relazioni sociali che hanno storicamente sorretto i sistemi monetari. Tuttavia, un’analisi più approfondita rivela come anche questo nuovo regime di “fiducia computazionale” sia in realtà dipendente da forme di consenso sociale e da dinamiche psicologiche complesse, che ne influenzano l’adozione, il valore e la stabilità.
In questa tensione iniziale si manifesta l’ambizione rivoluzionaria del progetto Bitcoin: nella mente della community e nei fatti molto più di quello che nel paper fondante veniva definito “A Peer-to-Peer Electronic Cash System”, bensì la ricerca di un fondamento oggettivo per il valore monetario che fosse finalmente libero dalla mediazione umana e dalla manipolazione istituzionale. Questo tentativo di rifondazione rappresenta una rottura radicale con la storia della moneta, che è sempre stata caratterizzata da una dimensione sociale e relazionale. La matematica viene proposta come nuovo garante della fiducia, sostituendo il ruolo storicamente svolto dalle istituzioni e dalle convenzioni sociali.
Tuttavia, emerge immediatamente un paradosso fondamentale: mentre Bitcoin cerca di costruire un sistema basato sulla pura oggettività computazionale, la sua stessa esistenza e il suo valore continuano a dipendere da dinamiche sociali e psicologiche profondamente radicate. Questa tensione tra l’aspirazione all’oggettività matematica e la persistente rilevanza della soggettività sociale rappresenta non tanto un limite del progetto, quanto piuttosto una caratteristica intrinseca di qualsiasi sistema monetario, anche quelli che si propongono di superare la dimensione umana attraverso l’automazione algoritmica.
La fiducia negli algoritmi: il mito di una verità matematica oggettiva
Alla base del funzionamento di Bitcoin e delle altre criptovalute vi è la blockchain, un registro distribuito e crittograficamente protetto in cui le transazioni sono verificate e aggregate in blocchi attraverso un processo di consenso basato sulla proof-of-work (Nakamoto, 2008). Questo meccanismo, che richiede ai nodi della rete di competere nella risoluzione di complessi problemi matematici, ha l’obiettivo di rendere il sistema resistente alla manomissione e all’alterazione dei dati, garantendo al contempo l’univocità e la irreversibilità delle transazioni.
La promessa di questa architettura è quella di creare un regime di verità oggettivo e incontestabile, in cui la fiducia non dipende più da istituzioni centralizzate o da relazioni interpersonali, ma è inscritta nel codice stesso del protocollo (Lustig & Nardi, 2015). La matematica e la crittografia diventano così i garanti ultimi del valore e della sicurezza del sistema, sostituendo l’autorità delle banche centrali e degli Stati con quella impersonale e immutabile degli algoritmi.
Tuttavia, questa visione di una fiducia puramente computazionale si scontra con la realtà di un sistema che, per quanto tecnicamente robusto, rimane dipendente da forme di consenso sociale e da dinamiche psicologiche che ne influenzano l’adozione e la percezione di valore. La scelta stessa di utilizzare una particolare criptovaluta, così come il prezzo che il mercato è disposto ad attribuirle, sono il risultato di processi di negoziazione e di costruzione sociale che vanno al di là della mera verità matematica del protocollo (Velasco, 2017).
L’architettura tecnica di Bitcoin rappresenta un tentativo senza precedenti di automatizzare la fiducia attraverso la matematica e la crittografia. La blockchain non è solo un’innovazione tecnologica, ma incarna una visione filosofica precisa: l’idea che la verità possa essere stabilita attraverso il consenso computazionale piuttosto che attraverso l’autorità istituzionale. La proof-of-work diventa così non solo un meccanismo di sicurezza, ma un nuovo paradigma di validazione che sostituisce la fiducia interpersonale con la certezza matematica.
Questa promessa di oggettività rappresenta una rottura radicale con i sistemi monetari tradizionali. L’idea di poter automatizzare completamente la fiducia attraverso gli algoritmi riflette un’aspirazione profonda della nostra epoca: la ricerca di un valore “puro”, libero dalle distorsioni e dalle manipolazioni umane. Tuttavia, questa visione si scontra con i limiti intrinseci di qualsiasi sistema di valore, anche quelli apparentemente più oggettivi.
La persistenza di elementi sociali nella determinazione del valore di Bitcoin rivela come anche i sistemi più tecnicamente sofisticati non possano prescindere completamente dalla dimensione umana. La percezione collettiva, le dinamiche di mercato e i comportamenti degli attori continuano a giocare un ruolo fondamentale, dimostrando l’impossibilità di ridurre completamente il valore a una questione puramente algoritmica.
Il ruolo delle comunità: fiducia, ideologia e senso di appartenenza
Un aspetto cruciale per comprendere il funzionamento delle criptovalute è il ruolo delle comunità che si formano attorno ad esse. Lungi dall’essere solo una tecnologia o un asset finanziario, Bitcoin e le altre criptovalute rappresentano anche dei movimenti sociali e culturali, caratterizzati da una forte identità condivisa e da un senso di appartenenza quasi tribale (Swartz, 2018).
Queste comunità, composte da appassionati, sviluppatori, investitori e ideologi, svolgono una funzione essenziale nel sostenere e promuovere l’adozione delle criptovalute, contribuendo a creare un’aura di fiducia e di legittimità attorno ad esse (Dodd, 2018). Attraverso forum online, eventi dal vivo e iniziative di divulgazione, questi gruppi diffondono una narrativa che presenta le criptovalute come strumenti di emancipazione economica e di resistenza al potere delle istituzioni finanziarie tradizionali.
Tuttavia, l’ideologia che permea queste comunità, spesso improntata a un individualismo libertario e a una sfiducia verso le autorità centrali, può anche alimentare dinamiche di polarizzazione e di esclusione, rendendo difficile l’adozione mainstream delle criptovalute (Golumbia, 2016).
Inoltre, la forte identificazione con il progetto e con la comunità può talvolta portare a forme di pensiero di gruppo e di echo chamber, in cui le opinioni dissenzienti sono marginalizzate e la fiducia nel sistema diventa una questione di fede più che di razionalità (Walch, 2019).
Così mentre cerca di eliminare la necessità di fiducia interpersonale attraverso la matematica, finisce comunque per creare comunità fortemente coese basate proprio sulla fiducia reciproca e su credenze condivise. Queste comunità sviluppano caratteristiche quasi religiose, con propri riti, dogmi e forme di evangelizzazione.
La dimensione comunitaria di Bitcoin evidenzia come la tecnologia, per quanto sofisticata, non possa esistere in un vuoto sociale. Le comunità crypto non sono solo gruppi di utilizzatori, ma veri e propri ecosistemi culturali che sviluppano propri linguaggi, norme e gerarchie informali. Questo aspetto sociale, lungi dall’essere un elemento accidentale, ma ha svolto e svolge un ruolo fondamentale per la sopravvivenza e la diffusione del progetto.
La crisi della democrazia e l’ascesa della fede algoritmica
La graduale disidentificazione tra cittadino e Stato rappresenta uno dei fenomeni più significativi del nostro tempo. Le istituzioni democratiche, un tempo considerate il baluardo della volontà popolare, appaiono sempre più distanti e inefficaci agli occhi dei cittadini. In particolare, le banche centrali hanno assunto un ruolo quasi esoterico, operando in una dimensione transnazionale attraverso organismi come la BIS di Basilea, completamente al di fuori dello spettro democratico e del controllo diretto dei cittadini.
Questa distanza non è solo geografica o istituzionale, ma profondamente psicologica. Le decisioni di politica monetaria, che influenzano direttamente la vita di milioni di persone, vengono prese in contesti ermetici, utilizzando un linguaggio tecnocratico che esclude la comprensione e la partecipazione pubblica. Il cittadino si trova così a subire, piuttosto che a comprendere e partecipare, alle scelte che determinano il valore del denaro e, di conseguenza, il proprio benessere economico.
In questo vuoto di fiducia e comprensione, l’algoritmo decentralizzato emerge come una risposta seducente. Bitcoin, con il suo protocollo trasparente e immutabile, offre l’illusione di un sistema più equo, dove le regole sono chiare e uguali per tutti. Non ci sono porte chiuse dietro cui vengono prese decisioni oscure, non ci sono interessi nascosti da proteggere. L’algoritmo diventa così un nuovo oggetto di fede, un’entità apparentemente neutrale che promette di liberare l’umanità dalla tirannia delle élite finanziarie.
Tuttavia, questa fede nell’algoritmo nasconde le proprie contraddizioni. Se da un lato il codice è effettivamente trasparente e immutabile, dall’altro porta con sé i bias e la visione del mondo dei suoi creatori. La scelta di un sistema basato sulla scarsità programmata, ad esempio, riflette una particolare concezione economica che potrebbe non servire necessariamente il bene comune. L’apparente neutralità dell’algoritmo diventa così un velo che nasconde scelte ideologiche precise, non diverse da quelle delle istituzioni che pretende di superare.
Questa sezione tocca un tema cruciale che merita un’analisi approfondita attraverso diverse prospettive teoriche. Il concetto di “disidentificazione” tra cittadino e Stato si inserisce in un più ampio dibattito sulla crisi della democrazia liberale contemporanea. Come osserva Colin Crouch in “Post-Democracy” (2004), stiamo assistendo a un paradosso in cui le istituzioni democratiche formali rimangono intatte mentre il loro contenuto sostanziale si svuota progressivamente.
La trasformazione del ruolo delle banche centrali, analizzata da Benjamin Braun in “Central Banking and the Infrastructural Power of Finance” (2018), riflette un più ampio processo di tecnocratizzazione della governance economica. Questo fenomeno, che Jürgen Habermas aveva già identificato come “colonizzazione del mondo della vita” da parte dei sistemi tecnico-amministrativi, trova nella politica monetaria contemporanea la sua manifestazione più evidente.
L’emergere di Bitcoin come risposta alla crisi di legittimità del sistema finanziario non rappresenta, come si potrebbe pensare, una forma di ‘reintegrazione’ (re-embedding) della moneta nella società, secondo la concezione del sociologo Karl Polanyi (1944). Infatti, mentre le istituzioni finanziarie tradizionali vengono criticate per aver separato (disembedding) la moneta dalle relazioni sociali che ne fondano il valore, Bitcoin persegue un obiettivo diverso: utilizzare la tecnologia per elevare la moneta al di sopra del controllo umano, promettendo così trasparenza ed equità universali. Tuttavia, come osserva Brett Scott in “The Heretic’s Guide to Global Finance” (2013), questo tentativo rischia di produrre nuove forme di alienazione e mistificazione.
La “fede algoritmica” che emerge in questo contesto può essere analizzata attraverso almeno tre dimensioni critiche: una dimensione epistemologica, una sociologica e una naturalmente politica.
Dal punto di vista epistemologico il passaggio dalla fiducia nelle istituzioni alla fede negli algoritmi rappresenta, come argomenta David Golumbia in “The Politics of Bitcoin” (2016), non tanto una democratizzazione quanto una riformulazione del potere in termini tecnologici. La presunta neutralità dell’algoritmo maschera quello che Langdon Winner chiama “politics of artifacts” – la natura intrinsecamente politica della tecnologia stessa.
A livello sociologico, l’emergere di nuove comunità che ripongono una fiducia quasi religiosa negli algoritmi rispecchia il fenomeno che Bruno Latour definisce ‘black boxing’ – il processo attraverso cui sistemi tecnologici complessi vengono progressivamente naturalizzati e accettati acriticamente. Come evidenzia Finn Brunton in ‘Digital Cash’ (2019), non tutti i membri della comunità delle criptovalute possiedono le competenze tecniche necessarie per comprendere gli algoritmi alla base della blockchain. Questo porta alla formazione di quelle che possiamo definire nuove “comunità immaginate”, unite non da tradizioni o territori condivisi, ma dalla comune fiducia nel potere trasformativo della tecnologia.
Infine, a livello politico, l’incorporazione di specifiche visioni e teorie economiche nel codice di Bitcoin, ad esempio l’enfasi sulla scarsità, riflette quello che Michel Aglietta e André Orléan (“La Violence de la Monnaie”, 1982) identificano come la natura intrinsecamente sociale e politica della moneta. La scelta di una politica monetaria deflazionistica programmata algoritmicamente non è una scelta tecnica neutra, ma una decisione politica con profonde implicazioni distributive.
La transizione dalla fiducia istituzionale alla fede algoritmica solleva quindi questioni fondamentali sulla natura del potere e della legittimità nell’era digitale. La sfida non è tanto quella di sostituire un sistema di fiducia con un altro, quanto di riconoscere la natura inevitabilmente sociale e politica di qualsiasi sistema monetario, sia esso basato su istituzioni tradizionali o su algoritmi decentralizzati.
Tra rituale e tecnologia: l’halving di bitcoin come moderna ierofania digitale
Dal punto di vista socio-antropologico, l’Halving di Bitcoin emerge come uno dei rituali più affascinanti dell’era digitale, un evento che intreccia tecnologia e simbologia religiosa in modo sorprendente. Come una ciclica cerimonia di rinnovamento, come un rito propiziatorio algoritmicamente programmato, prevedibile e inevitabile quanto un’eclissi o un allineamento astrale, ogni quattro anni la comunità Bitcoin partecipa a questo momento di ‘sacrificio collettivo’, in cui la ricompensa per il mining viene dimezzata per preservare e incrementare il valore della criptovaluta. Questo evento periodico riecheggia profondamente gli antichi rituali propiziatori presenti in numerose culture, dalla pratica delle feste calendariali alla tradizione del potlatch dei nativi americani, dove il sacrificio materiale diventa strumento di rinnovamento dell’ordine sociale e spirituale, rinnovando la certezza che, come già accaduto in passato, dalla rinnovata e salvaguardata scarsità un nuovo ciclo di abbondanza avrà inizio per la comunità.
Questo evento non è solo un cambiamento tecnico, ma un rito che mobilita un’intera comunità, unendo aspetti simbolici e pratici. Come nella Pasqua cristiana, dove il sacrificio supremo porta alla promessa della resurrezione e della vita eterna, l’Halving rappresenta un momento di rinuncia che rafforza la fede nella crescita futura del valore di Bitcoin, promettendo una ricompensa maggiore per chi persevera e continua a credere.
In questo senso, l’Halving rappresenta una moderna ierofania digitale: è un atto di fede nella scarsità programmata, simile alla fiducia che la comunità cristiana ripone nel potere della redenzione. Questo sacrificio serve a mantenere l’ordine e la prevedibilità all’interno del sistema, consolidando il mito del valore attraverso la scarsità e la fiducia nell’algoritmo.
Il parallelo con il rituale pasquale va oltre la superficie. Nella tradizione cristiana, il sacrificio di Cristo è necessario per la salvezza dell’umanità; nell’ecosistema Bitcoin, il dimezzamento della ricompensa è necessario per preservare il dogma della scarsità, considerato essenziale per la ‘salvezza’ economica del sistema.
Questo parallelismo richiama il concetto di “sacrificio necessario” presente in numerose tradizioni religiose, dal sacrificio di Isacco nel giudaismo al sacrificio del Purusha nella tradizione vedica, dove l’atto sacrificale serve a mantenere o rinnovare l’ordine cosmico. Il sacrificio, in entrambi i contesti, è visto come una condizione necessaria per il rinnovamento. Nel cristianesimo, la sofferenza di Cristo è la chiave per la redenzione dell’anima, mentre in Bitcoin il dimezzamento serve a garantire la scarsità, assicurando così la valorizzazione a lungo termine della criptovaluta.
Come nell’antica pratica dell’ordalia, dove la prova del fuoco serviva a dimostrare la verità attraverso la sofferenza, l’Halving crea un senso di inevitabilità e rinnova costantemente la promessa di prosperità futura, una promessa che trova la sua forza proprio nella ritualità del sacrificio. Questo richiama il concetto antropologico di “efficacia simbolica” elaborato da Claude Lévi-Strauss, dove il rituale non solo rappresenta ma attivamente produce gli effetti che simboleggia.
Ciò che, dal mio punto di vista, rende questo parallelo ancora più intrigante è la natura della ricompensa attesa. Nonostante la retorica anti-fiat della comunità Bitcoin, il valore del sacrificio e la promessa di redenzione sono ancora misurati principalmente in valute tradizionali. Questo ricorda la paradossale relazione tra spiritualità e materialità presente in molte tradizioni religiose, dove il trascendente deve comunque manifestarsi attraverso il mondano. I minatori accettano il dimezzamento delle loro ricompense in Bitcoin con la fede che ciò porterà a un aumento del valore in dollari, euro o yen.
È qui che emerge un paradosso significativo: il tentativo di creare un sistema alternativo al denaro tradizionale rimane legato alle stesse metriche da cui vuole emanciparsi. Come nel concetto weberiano di “disincanto del mondo”, dove la razionalizzazione non elimina ma trasforma il sacro, questo evidenzia la dipendenza intrinseca dalle valute fiat, rivelando come, nonostante il desiderio di trascendere il sistema finanziario tradizionale, il riconoscimento e la fiducia nella crescita economica siano ancora misurati attraverso lenti convenzionali.
La comunità attende l’Halving e i suoi effetti con la stessa certezza con cui i fedeli attendono la Pasqua, poiché l’algoritmo viene percepito come una profezia inevitabile, destinata a compiersi. Questa attesa messianica ricorda il concetto di kairos nel cristianesimo primitivo: un tempo speciale, carico di significato e potenziale trasformativo. Questa fiducia incrollabile nell’evento e nelle sue conseguenze positive rivela la natura quasi religiosa del fenomeno Bitcoin: la comunità crede nella validità e nella stabilità dell’algoritmo con la stessa fede con cui si accolgono le profezie autoavveranti, in cui la ripetizione e l’attesa rafforzano la convinzione del successo futuro.
La fiducia nell’immutabilità e nell’ineluttabilità dell’algoritmo assume un ruolo simile a quello della fede nei dogmi religiosi, richiamando il concetto durkheimiano di “effervescenza collettiva”, dove il rituale serve a rafforzare i legami sociali e le credenze condivise. Come nei rituali religiosi tradizionali, non è l’evidenza empirica che sostiene la fede, ma piuttosto la forza della credenza collettiva e la ripetizione ciclica del rituale stesso. Ogni Halving diventa un punto fermo nel tempo, una ierofania tecnologica che conferma che la narrativa della scarsità funziona e deve essere celebrata.
Il valore dell’Halving non è solo economico, ma anche simbolico, evocando ciò che l’antropologo Victor Turner definisce come “communitas” – un senso di comunione profonda che emerge durante i momenti rituali. Questo evento rinnova il legame tra i membri della comunità e consolida la loro convinzione che il sistema sia intrinsecamente giusto e destinato a prosperare. La ciclicità del sacrificio e della promessa di redenzione crea un senso di appartenenza che ricorda le antiche comunità mistiche, dove la partecipazione al rito confermava l’appartenenza al gruppo degli eletti.
Tipico dei cosiddetti massimalisti Bitcoiner, infatti, è anche un certo ‘monoteismo’ algoritmico, in cui Bitcoin viene elevato come l’unica vera criptovaluta, mentre tutte le altre vengono derise come ‘shitcoin’, prive di valore reale. Questo atteggiamento richiama il concetto di “monoteismo esclusivo” teorizzato da Jan Assmann, dove l’affermazione della verità unica passa necessariamente attraverso la negazione di tutte le alternative. Questa visione contribuisce a creare una mentalità da “popolo eletto”, con una forte identità di appartenenza che enfatizza l’unicità e la superiorità di Bitcoin rispetto a tutte le altre iniziative.
Gli altri progetti vengono visti come deviazioni o imitazioni inferiori, non degne della stessa attenzione o rispetto, in un parallelo sorprendente con il concetto teologico di “eresia”. Questo atteggiamento consolida ulteriormente l’approccio fideistico della comunità, che si vede come detentrice della verità economica assoluta e portatrice di una missione di liberazione finanziaria per l’intera umanità, riecheggiando il concetto weberiano di “comunità carismatica” e la sua missione salvifica.
In questo modo, l’Halving si manifesta come una profezia che si autoavvera, incarnando perfettamente ciò che il sociologo Robert K. Merton ha definito come dinamica delle “profezie autoavveranti’, dove le convenzioni tradizionali del mercato vengono sovvertite. Bitcoin si presenta infatti come un caso unico tra gli asset finanziari: paradossalmente, contrariamente alla logica comune dell’investimento che spinge a comprare quando i prezzi sono bassi e vendere quando sono alti, nel caso di Bitcoin la domanda tende ad aumentare proprio durante le fasi di crescita del prezzo, sovvertendo il comportamento tipico degli investitori. Durante questo rituale, l’intero corpo comunitario, guidato dai “sacerdoti” di questo credo tecnomonetario – in un parallelo evidente con la classe sacerdotale delle antiche religioni – opera in modo coordinato per sostenere l’ascesa del prezzo, affinché anche questa volta il ‘miracolo’ si compia e il ciclo torni a ripetersi.
Questa dinamica genera un potente fenomeno di massa che incarna il concetto di “folla psicologica” teorizzato da Gustave Le Bon, dove la razionalità individuale viene superata da una forma di partecipazione quasi involontaria al rituale collettivo. La combinazione di pressione sociale, timore di essere esclusi dal fenomeno (una moderna versione del timore dell’esclusione dalla salvezza) e fede nell’inevitabilità dell’apprezzamento spinge i partecipanti ad agire come un corpo unico. Si realizza così quello che Rappaport definirebbe un “rituale performativo”, dove l’atto stesso della partecipazione rafforza e conferma la verità del rituale.
Come la storia ci insegna, e come hanno approfondito pensatori come John Searle e Maurizio Ferraris attraverso i concetti di “intenzionalità collettiva” e “documentalità”, alla base di tutti i fenomeni monetari non vi è il valore intrinseco o la pura razionalità economica, ma piuttosto la forza della coscienza collettiva e delle strutture sociali documentali. È la credenza collettiva, sostenuta da un’infrastruttura simbolica e documentale – ciò che Pierre Bourdieu chiamerebbe “capitale simbolico” – a dare validità al mezzo di scambio, indipendentemente dalle sue caratteristiche materiali o teoriche.
Come detto la fiducia della comunità si fonda sulla narrativa secondo cui la scarsità equivale a valore e la decentralizzazione assicura non manipolabilità e stabilità, creando quello che l’antropologo Marshall Sahlins definirebbe come un “mito operativo” – una storia che non solo descrive ma attivamente plasma la realtà sociale. Questa narrativa rende il sacrificio dell’Halving significativo e la promessa di una futura prosperità credibile, trasformando un evento tecnico in un potente rituale di rinnovamento collettivo, rituale che tuttavia non riesce a liberarsi dalle vestigia Fiat su cui continuano ad esser misurato e manifestarsi l’effettivo compiersi della “profezia”.
L’universo in espansione delle criptovalute
Dal punto di vista del legame indissolubile con il mondo fiat e mondo, ritengo che l’utilizzo di un’analogia tra il mondo delle criptovalute e un universo in espansione possa offrire una prospettiva illuminante sulla natura di questi asset digitali nel loro rapporto con le varie divise nazionali (in particolare con le più forti).
Come nell’universo fisico, dove le galassie si allontanano l’una dall’altra mentre lo spazio stesso si espande – un fenomeno che Edwin Hubble descrisse nel 1929 con la sua legge fondamentale dell’espansione cosmica – così le criptovalute sembrerebbero formare un cosmo in continua dilatazione. Le distanze tra i vari asset digitali crescono proporzionalmente, mantenendo relativamente stabili i loro rapporti interni, mentre l’intero sistema si allontana sempre più dall’universo delle valute fiat.
In questo modello cosmologico finanziario, tuttavia lo “spazio-tempo fiat” e le leggi che lo sottendono assumono un ruolo di costante fondamentale, analogamente a come la costante cosmologica di Einstein regola l’espansione dell’universo fisico. Come suggerito da David Graeber in “Debt: The First 5000 Years”, la moneta fiat rappresenta un campo gravitazionale sociale che continua a influenzare ogni tentativo di creazione monetaria alternativa. Nonostante l’apparente allontanamento dal sistema tradizionale, le criptovalute restano vincolate a questa metrica temporale: il loro valore continua a essere misurato in dollari, euro, yen.
È come se l’universo delle criptovalute, pur espandendosi e creando nuove dimensioni – un processo che richiama il concetto di “multiverso monetario” teorizzato da Bernard Lietaer – non potesse liberarsi completamente dalla forza gravitazionale del sistema finanziario tradizionale, mantenendo un legame strutturale con le vecchie metriche di valore. Come osserva Michel Aglietta nella sua analisi della natura della moneta, questo legame evidenzia come il sistema cripto, pur cercando di creare un nuovo paradigma, rimanga influenzato dalle fondamenta del sistema da cui cerca di emanciparsi.
Le singole criptovalute come galassie in un universo in espansione.
Bitcoin, Ethereum e le altre mantengono tra loro rapporti relativamente stabili, simili alle leggi di Keplero che governano i movimenti planetari, mentre lo spazio tra le galassie si dilata. Questa dinamica riflette ciò che gli astrofisici chiamano “tessuto dello spazio-tempo”, dove la struttura fondamentale dell’universo determina il movimento dei corpi al suo interno.
Questa tensione tra espansione e ancoraggio rivela una contraddizione fondamentale nel progetto delle criptovalute. Come le galassie non possono sfuggire alle leggi fondamentali della fisica, così le criptovalute non riescono a liberarsi completamente dal sistema che cercano di superare. Il lavoro pionieristico di Karl Polanyi sulla “grande trasformazione” dei sistemi economici offre una chiave di lettura: ogni tentativo di creare un mercato completamente autonomo finisce per scontrarsi con la necessità di ancoraggi sociali e istituzionali.
Lo “spazio-tempo fiat” rimane la struttura attraverso cui misuriamo il successo o il fallimento di questi esperimenti monetari, rivelando quanto profondamente le nostre concezioni di valore siano ancora radicate nel vecchio paradigma. Questo fenomeno richiama il concetto di “path dependence” elaborato da Paul David e Brian Arthur: anche le innovazioni più radicali rimangono in qualche modo vincolate ai sentieri tracciati dalla storia.
Un altro aspetto interessante di questa analogia è la percezione della scarsità, che funge da forza gravitazionale nell’universo delle criptovalute. La scarsità programmata, come quella del Bitcoin con il suo limite di 21 milioni di unità, esercita un’attrazione simile alla gravità, influenzando il valore percepito e creando una narrativa di accumulo che mantiene coesa la comunità degli investitori. Come la forza gravitazionale tiene insieme le galassie, la scarsità e la difficoltà di mining creano coesione e determinano l’attrattiva degli asset digitali.
Inoltre, la tensione tra decentralizzazione e dipendenza dalle valute fiat rende le criptovalute paragonabili a isole in un oceano in continua espansione. Ogni criptovaluta cerca di costruire il proprio ecosistema indipendente, ma allo stesso tempo deve navigare nelle acque del sistema tradizionale per trovare un punto d’appoggio stabile. Come teorizzato da Joseph Tainter nel suo studio sul collasso delle società complesse, i sistemi tendono naturalmente verso una maggiore complessità, creando nuove interdipendenze anche quando cercano l’autonomia.
Questa dialettica riflette una sorta di aspirazione a un’utopia finanziaria, un sistema in cui il valore non sia più legato alle dinamiche delle valute tradizionali, ma possa trovare una propria autonomia. Il concetto di “eterotopia” di Michel Foucault risulta particolarmente pertinente: le criptovalute creano spazi altri, paralleli alla realtà finanziaria tradizionale, che ne riflettono e al contempo ne sovvertono le regole. Tuttavia, la realtà odierna mostra come il vecchio paradigma continui a esercitare un’influenza significativa, nonostante l’espansione e l’innovazione tecnologica.
Le criptovalute, pur cercando di creare una realtà parallela e autonoma, si trovano inevitabilmente a interagire e dipendere dal sistema economico tradizionale, esattamente come le galassie devono confrontarsi con le costanti fisiche dell’universo. Questo fenomeno richiama il concetto di “dipendenza dal sentiero” (path dependency) teorizzato da Paul David: anche le innovazioni più radicali non possono completamente sfuggire alle strutture storiche che le hanno precedute.
In definitiva, l’universo in espansione delle criptovalute rappresenta non solo un viaggio verso nuove possibilità economiche, ma anche un tentativo di superare i limiti imposti dalle vecchie concezioni di valore. Come in un cosmo in evoluzione, anche le criptovalute cercano di ridefinire il proprio spazio e di creare nuove leggi finanziarie, ma sono ancora legate alla gravità del sistema fiat, che le tiene ancorate a un paradigma che, nonostante i tentativi di innovazione, continua a definire le metriche del loro successo.
Tuttavia, se mi è permesso di indugiare ulteriormente in questa analogia cosmologica, questa espansione cosmica nasconde un paradosso fondamentale che richiama il concetto di energia oscura: gran parte della capitalizzazione dell’universo crypto è sostenuta non dal valore intrinseco o dall’utilità reale degli asset, ma dalla promessa di conversione in valuta fiat. Come nell’universo fisico dove la materia oscura e l’energia oscura costituiscono la maggior parte della massa totale pur essendo invisibili, così nel “cryptoverso” la maggior parte del valore nominale è sostenuta dalla speranza di una futura convertibilità in monete tradizionali.
Questa dinamica crea un paradosso di liquidità: mentre il mercato appare altamente capitalizzato sulla carta, la reale liquidità è concentrata principalmente nei punti di contatto con il sistema fiat. Da questo punto di vista la maggior parte delle criptovalute rimane fondamentalmente illiquida, con una capitalizzazione teorica che non riflette la reale possibilità di conversione in valore d’uso o di scambio nel mondo reale.
L’analogia cosmica a questo punto potrebbe essere estesa anche a questo aspetto. Come nell’inflazione cosmica teorizzata da Alan Guth, l’universo crypto potrebbe essere in una fase di espansione accelerata ma instabile, sostenuta principalmente dall’aspettativa di futuri guadagni in valuta fiat piuttosto che da un reale aumento di utilità o adozione. La scarsità di casi d’uso reali per la maggior parte delle criptovalute suggerisce infatti che stiamo assistendo più a una bolla di “valore speculativo” che a una vera espansione di utilità economica. Una bolla in cui la promessa di convertibilità in fiat agisce come un orizzonte degli eventi, oltre il quale il valore “reale” degli asset digitali diventa difficilmente misurabile.
Il paradosso del determinismo imprevedibile di Bitcoin
Il paradosso del determinismo imprevedibile di Bitcoin risiede pertanto nella sua stessa natura: un algoritmo immutabile che diventa prevedibilmente imprevedibile attraverso le distorsioni del mercato e il suo legame speculativo con il tanto vituperato mondo fiat. Questo paradosso, che lungi dall’essere una mera curiosità tecnica, illumina tensioni profonde tra intenzioni progettuali, dinamiche di potere ed esiti emergenti nei sistemi socio-tecnici complessi.
Per comprendere meglio questo fenomeno, possiamo immaginare Bitcoin come un orologio meccanico perfettamente deterministico che opera in un ambiente turbolento. Proprio come l’orologio ha un meccanismo interno preciso e prevedibile (analogamente al protocollo Bitcoin), con i suoi ingranaggi che si muovono secondo regole matematiche precise, le forze esterne dell’ambiente in cui opera (il mercato) introducono elementi di caos e imprevedibilità che influenzano il suo funzionamento complessivo.
Pensiamo a questo orologio immerso in un campo di forze variabili: Il meccanismo interno (il protocollo Bitcoin) continua a funzionare in modo deterministico: gli ingranaggi girano secondo schemi precisi, proprio come il protocollo Bitcoin continua a produrre blocchi ogni 10 minuti circa e a dimezzare la ricompensa ogni quattro anni. Tuttavia, l’orologio è soggetto a forze esterne che ne alterano il comportamento pratico: variazioni di temperatura (analoghe alle fluttuazioni del sentiment di mercato) che fanno espandere o contrarre i meccanismi. Campi magnetici variabili (paragonabili alle azioni dei grandi detentori) che influenzano la precisione del movimento. Turbolenze atmosferiche (simili alle pressioni speculative) che scuotono l’intero sistema. Pressioni barometriche mutevoli (come le influenze macroeconomiche) che creano stress strutturali.
Queste perturbazioni non alterano le regole base del funzionamento dell’orologio, proprio come le pressioni di mercato non modificano il protocollo Bitcoin, ma ne influenzano profondamente il comportamento pratico. L’orologio potrebbe rallentare o accelerare, proprio come il valore di Bitcoin fluttua, pur mantenendo intatta la sua struttura fondamentale.
Questa metafora, con tutte le semplificazioni del caso, cerca di catturare in maniera accurata la tensione tra il determinismo algoritmico del protocollo e l’imprevedibilità pratica del suo valore di mercato: anche se sappiamo esattamente come funziona il meccanismo interno, la complessità delle forze esterne rende impossibile prevedere con precisione il comportamento del sistema nel suo complesso. Proprio come un orologio perfetto in un ambiente instabile potrebbe dare orari imprecisi nonostante la perfezione del suo meccanismo, allo stesso modo Bitcoin mantiene un protocollo deterministico ma produce risultati di mercato imprevedibili a causa dell’ambiente turbolento in cui opera.
Questo paradosso riflette una tensione più ampia tra le intenzioni dei progettisti di sistemi (anche in altri ambiti, si pensi ad esempio alla AIgen) e gli esiti emergenti dall’interazione di tali sistemi con contesti socio-economici complessi. Come evidenziato dalla teoria della complessità, i sistemi adattivi tendono a generare proprietà e comportamenti non lineari e spesso contro-intuitivi. Nel caso di Bitcoin, le stesse regole algoritmiche che dovrebbero garantire equità e decentralizzazione, una volta inserite in un ecosistema di attori con incentivi e risorse asimmetriche, possono cristallizzare e amplificare squilibri di potere preesistenti. L’immutabilità del protocollo, pensata per prevenire manipolazioni, rende anche molto difficile correggere tali distorsioni una volta emerse.
Questo accade perché, pur essendo un sistema deterministico basato su elementi tecnici perfettamente prevedibili (emissione programmata, halving periodici, difficoltà di mining auto-regolante), è soggetto alle manipolazioni di mercato da parte di attori che possono influenzare significativamente il prezzo muovendo enormi capitali. La “scarsità algoritmica” del sistema, per quanto matematicamente definita, interagisce con dinamiche di mercato imprevedibili.
Ricordiamo che una piccola percentuale di possessori (le cosiddette balene) detiene una larga parte dell’offerta totale di Bitcoin (il 2% degli indirizzi detiene il 95% del totale), creando una struttura di mercato oligopolistica che, pur non essendo necessariamente più estrema di quella dei mercati finanziari tradizionali, permette loro di alterare la dinamica di domanda e offerta nel breve termine. È importante notare, tuttavia, che nel lungo periodo altri fattori macroeconomici e sociali fondamentali tendono ad assumere come abbiamo visto un peso altrettanto importante ma non meno manipolabile.
Il concetto di “violenza strutturale” di Galtung offre una lente potente per interpretare questa concentrazione di potere nel sistema Bitcoin. Secondo questa prospettiva, l’iniquità non deriva necessariamente da atti coercitivi diretti, ma è incorporata negli stessi meccanismi e incentivi profondi del sistema. Nel caso di Bitcoin, la manipolazione del mercato da parte delle “balene” non richiede una coercizione esplicita, ma sfrutta le proprietà strutturali del sistema (ad es. la scarsità programmata) e le asimmetrie di risorse e informazioni tra attori. Il fatto che tali manipolazioni siano tecnicamente “lecite” entro le regole del protocollo le rende ancora più insidiose e difficili da contrastare.
Inoltre, l’enfasi di Bitcoin sulla decentralizzazione tecnica può paradossalmente oscurare e deresponsabilizzare queste forme di potere, presentandole come esiti “naturali” o “meritocratici” del sistema piuttosto che come distorsioni. L’immutabilità dell’algoritmo, ironicamente, cristallizza questi squilibri di potere invece di prevenirli.
Non dimentichiamo che la blockchain nasce come sistema di governance e di consenso che protegge l’integrità del sistema dagli attacchi (come la questione del 50% + 1). Questa protezione, però, opera su due livelli: mentre garantisce l’integrità del database, include anche meccanismi economici (come il mining e i relativi incentivi) che tentano di allineare gli interessi degli attori del sistema. Tuttavia, questi meccanismi non proteggono gli utilizzatori dagli effetti di una distribuzione iniqua e dalla tendenza dei sistemi di scarsità “by design” a portare alla polarizzazione, all’accumulo nelle mani di pochi e all’oligopolio.
Questo evidenzia una tensione fondamentale tra decentralizzazione tecnica e centralizzazione economica: un sistema decentralizzato e deterministico può finire per essere centralizzato nelle mani di pochi, rendendo i movimenti del mercato meno prevedibili per la massa degli investitori. La discrepanza tra decentralizzazione tecnica e centralizzazione economica evidenzia i limiti di una concezione puramente “tecnica” dell’equità: anche un sistema formalmente decentralizzato può generare o esacerbare iniquità sostanziali se inserito in un contesto di disparità preesistenti.
Tale dinamica solleva questioni più ampie sulla possibilità di progettare sistemi che mantengano i vantaggi della scarsità programmata senza incorrere negli stessi problemi di concentrazione. L’emergere di nuove oligarchie “crittocratiche”, abilitate proprio dalle proprietà “democratizzanti” della tecnologia, rappresenta un’ironia profonda e preoccupante. Lungi dal superare le concentrazioni di potere tradizionali, il sistema Bitcoin rischia di replicarle sotto mentite spoglie, sfruttando una retorica di innovazione e liberazione per mascherare nuove forme di privilegio.
Di conseguenza, anche se il protocollo di Bitcoin è progettato per essere trasparente e resistente alla manipolazione tecnica, le sue fluttuazioni di prezzo risultano imprevedibili a causa dell’interazione tra la sua scarsità programmata e le azioni speculative dei grandi detentori. Questo paradosso può essere visto come un esempio specifico di un fenomeno più generale: la tendenza dei sistemi basati sulla scarsità a generare concentrazione di ricchezza, indipendentemente dalla loro architettura tecnica.
Le “balene”, sedendo come sacerdoti nel tempio, manipolano il mercato attraverso la loro influenza sproporzionata, creando una nuova forma di centralizzazione mascherata da decentralizzazione. L’immutabilità dell’algoritmo, invece di garantire equità, diventa uno strumento nelle mani di pochi.
L’influenza delle ‘balene’ sul mercato Bitcoin
L’influenza delle ‘balene’ sul mercato Bitcoin si manifesta attraverso molteplici dinamiche che evidenziano la vulnerabilità del sistema alla concentrazione di potere. I loro movimenti, come i trasferimenti di grandi quantità verso gli exchange, possono innescare ondate di panico e vendite diffuse, mentre pratiche come lo spoofing e il wash trading, difficilmente perseguibili in un mercato poco regolamentato, creano false percezioni di domanda e offerta.
Eventi storici significativi, come il crollo del 2017-2018 o il flash crash di Binance nel 2021, hanno dimostrato come le azioni coordinate di questi grandi detentori possano amplificare drasticamente i movimenti di mercato. La concentrazione della ricchezza – con circa il 2% degli indirizzi che controllano oltre il 95% dell’offerta – conferisce a questi attori un potere straordinario, esercitato sia attraverso transazioni dirette sia mediante i mercati dei derivati.
Episodi come le vendite del trustee di Mt. Gox nel 2018 o l’influenza mediatica di figure come Elon Musk rivelano come singoli attori possano innescare effetti a catena sul mercato. Anche le loro operazioni nei mercati OTC, sebbene meno visibili, possono influenzare indirettamente i prezzi attraverso l’alterazione della liquidità disponibile, dimostrando come la decentralizzazione promessa da Bitcoin possa paradossalmente coesistere con significative concentrazioni di potere di mercato
Questi solo alcuni tra gli esempi di come, nonostante la natura decentralizzata e distribuita della tecnologia blockchain, il mercato Bitcoin risulti fortemente condizionato dalle azioni di un numero relativamente ristretto di grandi detentori. Tale concentrazione di potere genera una triplice criticità: una volatilità accentuata, dove le azioni delle balene causano movimenti di prezzo bruschi e imprevedibili per gli investitori al dettaglio; una marcata asimmetria informativa, con le balene che godono di accesso privilegiato a informazioni e strumenti di trading avanzati; e una sistematica distorsione della percezione del mercato, dove pratiche come lo spoofing e il wash trading inducono gli altri trader a decisioni basate su informazioni fuorvianti.
L’influenza delle balene sul mercato di Bitcoin evidenzia una contraddizione fondamentale: mentre la tecnologia sottostante promuove la decentralizzazione, le dinamiche di mercato possono portare a una centralizzazione de facto del potere. Questa concentrazione può minare alcuni dei principi fondamentali su cui si basa Bitcoin, sollevando questioni sulla sostenibilità e sull’equità del sistema nel lungo termine.
Infine, l’imprevedibilità generata da queste dinamiche pone sfide significative alla governance e alla regolazione del sistema. Le stesse caratteristiche che rendono Bitcoin resistente al controllo centralizzato (ad es. l’immutabilità del protocollo) possono ostacolare tentativi di correggere distorsioni o prevenire abusi. Questo solleva dilemmi profondi su come conciliare i principi di decentralizzazione con esigenze di responsabilità e tutela del bene comune.
Il paradosso del determinismo imprevedibile di Bitcoin offre pertanto uno spunto di riflessione cruciale sui limiti e le contraddizioni delle cripto-utopie decentralizzate. Comprendere e affrontare queste tensioni sarà essenziale per immaginare futuri più equi e sostenibili nell’era delle cripto-economie. Il sistema Bitcoin, con la sua architettura decentralizzata ma risultati centralizzati, ci ricorda che l’equità e la giustizia non sono automaticamente garantite dalla tecnologia, ma richiedono una continua negoziazione e ridistribuzione del potere all’interno dei sistemi socio-tecnici emergenti.
Per progredire verso un futuro più equo e sostenibile nell’era delle criptovalute, sarà fondamentale affrontare queste contraddizioni e sviluppare meccanismi di governance che bilancino i principi di decentralizzazione con la necessità di responsabilità e tutela del bene comune. Ciò potrebbe richiedere innovazioni non solo tecnologiche, ma anche sociali, economiche e politiche.
Il dilemma del futuro: tra determinismo immutabile e adattabilità sociale
La scelta che si presenta davanti a noi è profonda e complessa: da un lato, il determinismo imprevedibile di algoritmi immutabili, elevati a oggetto di fede e controllati de facto da “balene” del vecchio e nuovo mondo che fungono da oracoli privati nel tempio della finanza digitale; dall’altro, l’indeterminismo probabilistico di nuove forme decentralizzate e distribuite di algoritmi, capaci di modificarsi in funzione delle necessità delle comunità, adattando gli incentivi per promuovere il bene comune.
L’idea di algoritmi adattivi che si modificano in base alle necessità della comunità offre una visione alternativa, sia per fini che per modalità di raggiungerli. Questi sistemi abbracciano l’incertezza come elemento costitutivo, riconoscendo che la vera stabilità non deriva dalla rigidità, ma dalla capacità di evolvere e rispondere ai cambiamenti. L’indeterminismo probabilistico diventa così una forza positiva, permettendo al sistema di adattarsi e servire meglio le esigenze della collettività.
Questa visione più flessibile riconosce che l’essenza stessa del progresso risiede nella capacità di modificarsi in base all’evoluzione del contesto. In un sistema immutabile, le regole sono rigide e non lasciano spazio per rispondere ai bisogni emergenti, agli eventi imprevisti o alle mutate condizioni sociali ed economiche. Al contrario, gli algoritmi adattivi sono progettati per essere dinamici, per ricalibrare le loro logiche in modo che le risorse siano allocate dove sono più necessarie, seguendo i cambiamenti del tessuto sociale e delle condizioni economiche.
Il paradosso del determinismo di Bitcoin è che, mentre si propone come una risposta alla mancanza di fiducia nelle istituzioni finanziarie tradizionali, rischia di generare nuove forme di asimmetria. Le “balene” che accumulano grandi quantità di Bitcoin hanno il potere di influenzare il mercato, decidendo quando vendere o comprare per determinare le oscillazioni di valore. Questo potere è concentrato nelle mani di pochi, e la promessa di una decentralizzazione pura diventa, nella pratica, un’illusione. Allo stesso tempo, la rigidità dell’algoritmo di Bitcoin non gli permette di adattarsi a nuove sfide. In un contesto mondiale in continua evoluzione, caratterizzato da crisi economiche, cambiamenti climatici, pandemie e disuguaglianze crescenti, un sistema che non può rispondere alle mutate condizioni rischia di diventare irrilevante o addirittura dannoso. L’adattabilità è quindi vista come un elemento cruciale per rispondere alle esigenze reali delle persone e delle comunità.
L’idea di un algoritmo adattivo, che si modella secondo le esigenze collettive e si modifica con il cambiamento delle circostanze, offre un potenziale per una maggiore giustizia sociale. Immaginiamo un sistema che, in tempi di crisi, possa adattare i propri parametri per garantire un accesso più equo alle risorse, oppure che possa incentivare comportamenti virtuosi, come la riduzione delle emissioni di carbonio, o sostenere chi è in difficoltà. In un sistema del genere, l’indeterminismo non è più visto come una minaccia, ma come un’opportunità di adattamento e resilienza.
La questione fondamentale diventa quindi: vogliamo un futuro governato da algoritmi che, pur presentandosi come immutabili e matematicamente deterministici, sono in realtà profondamente politici – non super partes ma generatori di rigidità sistemica, amplificatori di diseguaglianze e catalizzatori di concentrazione del potere? O siamo pronti ad abbracciare sistemi più fluidi e adattivi, capaci di evolvere con la società e orientati direttamente alla costruzione del bene comune, senza affidarci alla fede liberista secondo cui la somma degli egoismi individuali porterebbe automaticamente al benessere collettivo?
La risposta a questa domanda determinerà non solo il futuro delle criptovalute, ma il modo stesso in cui concepiamo il denaro e il valore nella società digitale. È una scelta tra due visioni del mondo: da un lato, la sicurezza affidata a un sistema di controllo che, per quanto trasparente e matematicamente predefinito, rimane rigido e fuori dalla nostra capacità di intervento – centralizzato nelle scelte iniziali anche se distribuito nella sua inviolabilità. Dall’altro, una visione in cui la sicurezza non può che emergere dalla cooperazione, dall’apprendimento collettivo e dalla capacità di evolvere insieme.
Il futuro delle criptovalute in fondo potrebbe invece risiedere proprio nella sintesi di queste visioni solo apparentemente contrapposte: un equilibrio tra regole fondamentali solide e la flessibilità necessaria per rispondere ai bisogni delle comunità.
E così, mentre nelle ultime settimane Bitcoin è riuscito più volte a sfondare la barriera dei 100k dollari, l’universo cripto continua ad espandersi segnando nuovi record. Tuttavia se una parte della community festeggia inebriata celebrando con ulteriori acquisti il miracolo che ancora una volta si è compiuto, dall’altra centinaia di sviluppatori stanno forse già lavorando a nuovi protocolli e a un diverso modo di intendere la relazione tra matematica e società, tra algoritmi e bisogni umani, tra certezza e adattamento. Il prossimo capitolo della storia delle criptovalute potrebbe essere molto diverso da quello che ci aspettiamo.