Manuel Castells e la “network society” 25 anni dopo

Poco più di 25 anni fa veniva pubblicato il libro “The rise of network society” una pietra miliare della sociologia e della cultura postmoderna, primo libro della celebre trilogia “L’età dell’informazione. Castells elaborò la sua teoria sociale con il preciso intento di fornire un’interpretazione dei processi di cambiamento nelle relazioni evolutive tra potere, economia e vita sociale in un mondo trasformato dalla globalizzazione e dell’informatizzazione su larga scala, in un processo che ha favorito forme di interazione nuove, capaci di superare lo spazio ed il tempo fisici, fondate su modelli di tipo reticolare e sulla commistione tra spazio fisico e spazio digitale. Il sociologo, ha identificato nella cosiddetta “società delle reti” la struttura sociale paradigmatica della nostra epoca, definita dallo stesso “Era dell’Informazione e del capitalismo informazionale” (1).  

Castells nasce come sociologo urbanista di matrice post-marxista. Le sue opere di sociologia urbana “radicale” pubblicate negli anni ‘70 ottennero una buona risonanza, sia all’interno che all’esterno del mondo accademico. Anche nei decenni successivi non smetterà di occuparsi dell’analisi e dell’evoluzione in chiave sociologica degli spazi urbani (seppur sotto un profilo e con una connotazione diversi rispetto al passato), così come, già nelle sue prime opere, è possibile scorgere i primi cenni ad alcuni dei concetti chiave della nozione di “società delle reti” che saranno sviluppati da Castells negli anni successivi. Tuttavia, per quanto in questi scritti, come vedremo, sia possibile rinvenire, seppur in nuce, i prodromi delle intuizioni che accompagneranno il suo lavoro di ricerca negli anni successivi, la piena enunciazione delle sue riflessioni e ricerche sulla  società delle reti avverrà in maniera compiuta solo con la pubblicazione della cosiddetta trilogia de “L’età dell’informazione”. L’opera, edita in tre volumi nella seconda metà degli anni ’90 espone per la prima volta tutti quei concetti che accompagneranno e animeranno nei decenni a seguire non solo il suo progetto di ricerca ma anche il dibattito sulle relazioni tra tecnologia, economia, diffusioni delle reti e società che coinvolgerà gradualmente non solo tanti altri illustri sociologi ma anche numerosi ricercatori e intellettuali delle più diverse estrazioni, animando un ricco dibattito multidisciplinare e contribuendo a far emergere la rilevanza sistemica di queste tematiche a livello globale. 

Come detto in precedenza, il grande sforzo interpretativo e di ricerca di Castells che culminerà ne “L’età dell’informazione”, prese avvio già nella prima metà degli anni ottanta.  Proprio in quegli anni Castells cominciò ad esplorare con grande profondità il rapporto tra tecnologia, economia e società e le loro interconnessioni e correlazioni, evidenziando come queste andavano a riflettersi e a riverberarsi sulla struttura urbana e quindi sui mutamenti morfologici delle forme di relazione e degli spazi antropici ad essa collegati. Questa attenzione al rapporto tra tecnologia e società lo resero di fatto un precursore, avvicinandolo già da allora a tematiche ancora poco esplorate anche nel mondo accademico, soprattutto nel vecchio continente. A tal proposito, lo stesso Castells ebbe modo di dichiarare in seguito che “in quegli anni in Europa la portata e gli impatti della rivoluzione informatica non fossero ancora stata compresa fino in fondo come come invece stava accadendo sull’altra sponda dell’Atlantico“ (Institute of International Studies, 2001). 

Queste prime riflessioni sul rapporto tra tecnologia, economia e società si sostanziano nella pubblicazione de “La città informazionale”, libro per certi versi pionieristico, che fece da apripista ad una nuova visione contestuale della realtà urbana, fondata sulle modificazioni della morfologia sociale emergente in connessione con i cambiamenti nel sistema tecno-economico, che poneva l’accento sugli impatti strutturali delle tecnologie dell’informazione sui modelli organizzativi sociali. Già nel decennio precedente Castells aveva enfatizzato nelle proprie analisi urbane tanto la relaziona tra impatto geografico e strutture produttive (Castells e Godard, 1974) quanto il loro rapporto con i processi di consumo (Castells, 1977), ma a partire dalla seconda metà degli anni ‘80 divenne centrale nel pensiero dell’autore  l’estendersi degli spazi di scambio su scala globale unitamente al rapido amplificarsi, attraverso la tecnologia, dello spazio dell’interazione e della comunicazione nell’ambito delle società umane. Tutti elementi chiave di quel processo allora già in atto che il filosofo Floridi ha definito come la quarta rivoluzione (2).

Furono così questi aspetti, in correlazione ad altri eventi pregnanti della postmodernità (3), a divenire la chiave interpretativa degli epocali cambiamenti che già da allora (e in maniera ancora più determinante in seguito) avrebbero decretato un radicale cambio di paradigma rispetto a quanto vissuto fino ad allora. 

In “La Città informazionale”, inoltre, comincia ad emergere il concetto di rete come struttura organizzativa alla base dei nuovi processi socio-economici nelle società post-industriali e la sua stretta correlazione con la tecnologia: “Queste reti, che non potrebbero esistere su così larga scala senza il mezzo fornito dalle nuove tecnologie dell’informazione, sono la forma organizzativa emergente del nostro mondo, e hanno giocato un ruolo fondamentale nel garantire il suo processo di ristrutturazione”.  (Castells, 1996)

Questa visione, ancora solo abbozzata nei suoi lavori precedenti, viene rielaborata in maniera compiuta proprio nella trilogia intitolata The Information Age, i cui tre volumi sono The Rise of the Network Society (1996), The Power of Identity (1997), e End of Millennium (1998). La trilogia, come precedentemente accennato,  ebbe un enorme successo consacrando la posizione di Castells e facendo di lui uno dei teorici sociali più citati a livello mondiale (4)

L’opera rappresenta essenzialmente una cristallizzazione delle idee di Castells sviluppate durante i decenni precedenti, accresciute e corroborate da numerosi studi e da ampie prove documentali di cui il sociologo si servì per poter presentare al mondo una grande narrazione della contraddizione strutturale tra la “Rete” e il “Sé” (di cui ci occuperemo più approfonditamente in seguito) che, secondo lo stesso, caratterizza la nostra epoca e il mondo in cui viviamo. 

Data la vastità dell’opera è certamente  impossibile fornire una panoramica della casistica della storia contemporanea che Castells fornisce a supporto delle sue teorie. Secondo Van Dijk le sue conclusioni possono essere così riassunte:

“Nella sua trilogia l’autore ripercorre gli effetti di tre processi indipendenti sorti tra la fine degli anni ’60 e la metà degli anni ’70 e che si sono uniti per produrre una ‘nuova società’: la rivoluzione informatica, la crisi economica del capitalismo e lo statalismo (comunismo ) e il fiorire di nuovi movimenti sociali come ambientalismo e femminismo. Secondo Castells la rivoluzione informatica è in parte responsabile del crollo dell’Unione Sovietica e del ringiovanimento di un capitalismo più efficace, flessibile e indurito. L’ascesa di nuovi movimenti sociali è una risposta alla crisi della nazione, della democrazia, delle istituzioni tradizionali della società civile e del patriarcato in gran parte del mondo. Insieme, questi tre processi, stanno causando una nuova struttura sociale (una società in rete), una nuova economia (un’economia dell’informazione globale) e una nuova cultura (una cultura della “virtualità reale”). Permettetemi di spiegare questi tre effetti in successione.” (Van Dijk, 2017)

La particolareggiata trattazione di Castells attraverso una lunga sequenza di fatti e luoghi della post-modernità lo porta a una conclusione generale: 

le funzioni ei processi dominanti nell’era dell’informazione sono sempre più organizzati intorno alle reti. Le reti costituiscono la nuova morfologia sociale delle nostre società e la diffusione della logica del networking modifica sostanzialmente il funzionamento e gli esiti nei processi di produzione, esperienza, potere e cultura. Mentre la forma di organizzazione sociale in rete è esistita in altri tempi e spazi, il nuovo paradigma della tecnologia dell’informazione fornisce le basi per la sua espansione pervasiva in tutta la struttura sociale.” 

Questa logica di rete o forma di organizzazione, secondo l’interpretazione di Van Dijk del pensiero d Castells, induce una determinazione sociale a un livello superiore, che prima era sconosciuto: “Il potere causale dei flussi di rete diventa più importante degli interessi specifici che essi rappresentano” trasformandoli in “flussi di potere”.

Come vedremo meglio in seguito, per questa ragione, nell’ambito del capitalismo informazionale diventa fondamentale essere presenti nelle reti che contano e non esserne esclusi, in quanto ciascuna rete potrebbe dominare un’altra meno dinamica e potente in un rapporto gerarchico tramite dei processi di assorbimento, subordinazione o esclusione. Castells chiama questa tendenza “la preminenza della morfologia sociale sull’azione sociale”.

L’espansione onnicomprensiva del modello morfologico “a rete”, infatti, secondo Castells ha finito col pervadere e trasformare tutti gli ambiti della vita sociale ed economica. Finendo per assorbire gradualmente tutte le forme preesistenti, tuttavia senza mai scartarle del tutto, esattamente come l’affermarsi delle società industriali a loro volta non esclusero per lungo tempo molte delle forme preindustriali che andavano a soppiantare. Seppur, in quanto post-marxista, per Castells il primo layer di dominio è proprio il dominio dell’economia e dell’impresa, realizzati entrambi adottando una struttura a rete nel processo di globalizzazione, questo tipo di pervasività delle strutture di rete ha finito per riguardare tutte le tipologie di reti. (Van Dijk, 2017)

Le reti rappresentano pertanto l’elemento cardine del corpus teorico e del lavoro di ricerca di Castells, tuttavia il suo contributo allo studio delle reti non si fonda su un approccio tecnico legato alla pura scienza delle reti o alle metodologie network analysis in senso stretto. Le reti nella sua teoria vengono assunte come un elemento strutturale caratterizzante nella nuova morfologia sociale del capitalismo informazionale in epoca post-industriale. Un modello relazionale inedito, non per tipologia, ma di certo per scala e diffusione, reso possibile dal rapido affermarsi delle nuove tecnologie dell’informazione su base globale. 

Questo deficit apparente nel lavoro di Castells è in realtà perfettamente coerente con la sua chiave interpretativa. In breve, egli non ha offerto nessun contributo empírico, teórico o metodológico alla social network analysis o alla teoria delle reti in generale, semplicemente perché “le reti” nella teoria sociale di Castells non vengono rappresentate come un concetto analitico ma piuttosto una “potente metafora” utilizzata dal sociologo per catturare l’intima essenza della nuova morfologia sociale del capitalismo informazionale. Le reti, in questo modello, rappresentano non tanto la lente quali-quantitativa attraverso cui misurare, interpretare e comprendere il mondo in cui viviamo, quanto più la struttura stessa di questa epoca, la fitta trama di cui la realtà si compone, la struttura attraverso cui il nuovo potere espande la sua area di influenza.

Ne “l’Età dell’Informazione”e in molti lavori successivi, Castells definisce esplicitamente il concetto di “rete”. La rete per il sociologo è una struttura costituita un insieme di nodi interconnessi collegati da archi che rappresentano le relazioni e interazioni informazionali tra i soggetti (individuali/collettivi) che le compongono. 

Per loro stessa costruzione, le reti non hanno un centro (anche se spesso possono essere policentriche), sono caratterizzate da una logica binaria (inclusione o esclusione dalla rete) e da strutture e modelli decisionali decentralizzati e/o distribuiti. L’esistenza delle reti è determinata dall’utilità dei nodi che le compongono in relazione ai fini specifici dei singoli o dei gruppi che ne fanno parte. nel momento in cui qualche nodo dovesse cessare di essere utile alla rete generalmente esso sarà eliminato o sostituito. In questi casi la rete si ri-organizzerà autonomamente esattamente come avviene per le cellule nei processi biologici. L’importanza di ciascun nodo del network non è di tipo oggettivo ed assoluto ma è determinata dal contesto ovvero dalla posizione e dal ruolo che lo stesso ricopre nel network rispetto agli altri nodi vi partecipano e quindi, per dirla con Castells, “è determinata dalla sua capacità di guadagnare fiducia all’interno della rete condividendo informazioni e di programmare e collegare le reti padroneggiando i protocolli che permettono il funzionamento degli interruttori critici della rete” (Castells, 1996).

Il concetto di rete, nell’analisi di Castells, viene pertanto adattato a un quadro strutturale più ampio. L’introduzione di questo concetto da parte del sociologo non parrebbe quindi motivata tanto dalla sua particolarità o dal suo contenuto in quanto tale in termini puramente analitici, ma piuttosto viene utilizzata da quest’ultimo come: “una sorta di ‘assioma’ epocale storicamente fondato in una deduzione teorica sociale da principi teorici generali alla spiegazione di fenomeni empirici, come nuovi modelli di business, conflitti urbani o ristrutturazioni statali” (Castells, 1996; 1997; 1998). 

In questo quadro, l’emergere delle reti come forma efficiente di organizzazione sociale è il risultato di tre caratteristiche che hanno dimostrato la loro utilità (e supremazia) nell’ambiente tecno-economico emergente in un mondo in costante evoluzione e cambiamento, cioè flessibilità, scalabilità e sopravvivenza.

“Flessibilità: possono riconfigurarsi secondo gli ambienti che cambiano, mantenendo i loro obiettivi mentre cambiano i loro componenti. Aggirano i punti di blocco dei canali di comunicazione per trovare nuove connessioni. Scalabilità: possono espandersi o ridursi di dimensioni con poca interruzione. Sopravvivenza: poiché non hanno un centro, e possono operare in una vasta gamma di configurazioni, possono resistere agli attacchi ai loro nodi e codici, perché i codici della rete sono contenuti in più nodi che possono riprodurre le istruzioni e trovare nuovi modi di eseguire.” (Castells, 2004)

Per riassumere, Castells definisce le reti come insiemi di nodi interconnessi, che elaborano flussi finanziari, informazionali e altri flussi di valore con l’aiuto delle nuove tecnologie. Sono strutture complesse di comunicazione e potere in grado di autorganizzarsi, che cooperano e competono internamente ed esternamente secondo gli interessi espressi dai singoli nodi usando in definitiva una logica binaria di inclusione/esclusione. Sono non solo resilienti ma anche antifragili, ovvero hanno la capacità di rinnovarsi autonomamente, cambiando morfologia, inserendo nuovi attori e modificando i propri contenuti e obiettivi al mutare delle condizioni sia interne che esterne. La loro natura dinamica le rende flessibili, scalabili e autorigeneranti, condizioni imprescindibili per adattarsi e sopravvivere in un ambiente tecno-economico in continuo cambiamento come quello attuale. 

Come afferma lo stesso Castells “… le funzioni e i processi dominanti nell’era dell’informazione sono sempre più organizzati intorno alle reti. Le reti costituiscono la nuova morfologia sociale delle nostre società, e la diffusione della logica di rete modifica sostanzialmente il funzionamento e gli esiti dei processi di produzione, esperienza, potere e cultura. Mentre la forma di organizzazione sociale in rete è esistita in altri tempi e spazi, il nuovo paradigma informatico fornisce la base materiale per la sua espansione pervasiva in tutta la struttura sociale”.

Comprendere il contesto sociale di tali reti implica il ritorno ai concetti dell’economia politica insiti nella trasformazione della società capitalista industriale in società capitalistica dell’informazione. Castells infatti ha ripetutamente sottolineato che la società delle reti è e rimane, comunque, di fatto, una società capitalista. Il capitalismo informazionale funziona attraverso reti globali di scambi strumentali e informazionali che avvengono in un iperluogo che l’autore definisce come lo “spazio dei flussi” in cui le relazioni superano per importanza i luoghi, intesi come spazio fisico, nel funzionamento complessivo del sistema. Lo spazio dei flussi è così caratterizzato da un “tempo senza tempo” e da uno “spazio senza spazio”. “Lo spazio dei flussi – sostiene Castells – dissolve il tempo mettendo in disordine la sequenza di eventi e rendendoli simultanei, inserendo così la società in una eterna dimensione effimera “. 

Seguendo l’analisi di Castells lo spazio dei flussi informazionali può essere paragonato all’infrastruttura fisica e logica che permette il fluire delle informazioni. Lo spazio dei flussi è articolato in tre strati tra loro interdipendenti:

  • Il primo strato è il supporto materiale rappresentato dalle infrastrutture tecnologiche (linee di comunicazione ad alta velocità, cavi sottomarini, antenne, ripetitori, circuiti, etc.). 
  • Il secondo strato è costituito dai suoi nodi e snodi (o hub). Sono luoghi nei quali i flussi informazionali vengono scambiati tra loro e ad ogni scambio si ha un processo di creazione di valore e di accumulazione di ricchezza. Gli snodi rappresentano di fatto il punto di contatto tra lo spazio delle informazioni e lo spazio fisico dei luoghi.
  • Il terzo strato, non a caso, è rappresentato dalle classi elitarie direzionali, decisionali e manageriali che popolano i nodi e gli snodi. Sono le figure che decidono, in funzione del valore delle informazioni in loro possesso, come, quando e dove dirottare e allocare gli investimenti, quando effettuare gli scambi di valore speculativi, quando influenzare le istituzioni politiche locali per facilitare e agevolare la penetrazione dei propri prodotti o dei propri servizi nei rispettivi mercati. (Previdi, 2016)

Per cui il potere “non è più concentrato nelle istituzioni (lo stato), nelle organizzazioni (le imprese capitaliste), o nei controllori simbolici (i media corporativi, le chiese), ma è diffuso in reti globali di ricchezza, potere, informazione e immagini, che circolano e si trasmutano in un sistema di geometria variabile e geografia smaterializzata. Eppure non scompare”. 

In questo contesto, a livello macro, l’effetto delle strutture di rete nell’ambito dello spazio dei flussi, che rappresenta il nuovo perimetro fluido delle interazioni economico sociali, non può che essere caratterizzato dalla logica binaria inclusione/esclusione insita nei modelli di rete. Uno stato di fatto quest’ultimo magistralmente riassunto nella drammatica affermazione di Castells per cui gli individui, i gruppi, le comunità e persino le nazioni possono essere inclusi o esclusi dalle reti del potere economico a seconda della loro utilità per tali reti, la cui valutazione è come abbiamo visto appannaggio di pochi snodi che si muovono esclusivamente in funzione del proprio vantaggio individuale. 

Per questa ragione i processi della vita umana sono per l’autore sempre più condizionati dalle reti economiche globali che classificano e posizionano le persone secondo il loro “valore d’uso” creando mezzi sempre più sofisticati per controllarne la vita quotidiana. Questo genera una tensione che Castells ha espresso in una delle summe più citate della sua teoria: “Le nostre società sono sempre più strutturate intorno a un’opposizione bipolare tra la Rete e il Sé.” 

In questa opposizione il sociologo nota una scissione tra l’astratto strumentalismo universale della nuova logica di rete della società e le concrete identità particolaristiche storicamente radicate, quindi tra funzione e significato. La discrepanza o dicotomia prodotta da questa scissione si estrinseca attraverso la capacità dei nuovi media di trascendere il tempo e il luogo,  portando così al coesistere di classi sociali e movimenti che vivono in tempi e luoghi diversi. Capitale e lavoro, istituzioni globali e movimenti sociali particolari finiscono per vivere, per effetto delle nuove tecnologie ICT e della loro inclusione e/o esclusione dalle reti primarie, in temporalità diverse. I primi nel tempo istantaneo delle reti informatiche e i secondi nel tempo dell’orologio della vita quotidiana. Per la stessa ragione, al contempo, sempre più spesso vivono anche in spazi diversi: i primi nel cyberspazio e nei luoghi del jet set cosmopolita altamente mobile dell’élite dell’informazione; i secondi nelle vecchie località legate ai luoghi delle città e delle campagne. (Van Dijk, 2017)

Da qui ha però origine anche il messaggio emancipatorio incorporato nella teoria di Castells e la natura speciale assegnata dallo stesso al “potere dell’identità” come forza contraria alle reti strumentali e come forza di inclusione e democratizzazione dei processi decisionali all’interno delle reti, fino ad una ridefinizione delle reti stesse in chiave distribuita e orizzontale. Si tratta di messaggio positivo che vede nella diffusione di Internet uno strumento fondamentale di emancipazione dell’individuo attraverso quello che Castells definisce come processo di “individuazione”.

Come detto, secondo Castells, lo sviluppo tecnologico e la sua diffusione capillare su scale planetaria hanno rappresentato le precondizioni individuali più importanti per la rinascita delle reti (Castells, 1996). Non a caso per l’autore uno degli elementi chiave per l’inclusività delle reti è stata senza dubbio la diffusione su tutto globo e verso porzioni sempre più ampie di popolazione di Internet e delle tecnologie di comunicazione senza fili:

“Internet è la tecnologia decisiva dell’Era dell’Informazione, come il motore elettrico fu il vettore della trasformazione tecnologica dell’Era Industriale. Questa rete globale di reti di computer, in gran parte basata oggi su piattaforme di comunicazione senza  fili,  fornisce  una  capacità  ubiquitaria di comunicazione interattiva multivia, in un tempo definito, trascendendo lo spazio.” (Castells, 2013).

La velocità e la portata della trasformazione del nostro ambiente di comunicazione tramite Internet e la diffusione degli strumenti di comunicazione senza fili unitamente alla penetrazione e alla pervasività delle ICT, e delle tecnologie ad esse legate, nelle nostre vite hanno scatenato in tutto il mondo, come ci ricorda Castells, ogni tipo di percezione utopica e distopica. 

“….in tutti i momenti di grandi cambiamenti tecnologici, le persone, le aziende e le istituzioni sentono la profondità del cambiamento, ma spesso ne sono sopraffatte, per pura ignoranza dei suoi effetti.” (Castells, 2013)

Come spesso accade davanti alle questioni tecniche, pur trattandosi di strumenti e tecnologie oramai radicati nella nostra vita di tutti i giorni, tendiamo a non interrogarci affatto su cosa rappresentino e su che ruolo abbiano nella nostra esistenza, ci limitiamo a farne uso o ad esserne usati, spesso senza neppure accorgercene. Nella maggior parte dei casi tendiamo a rapportarci alla tecnica come ad un fatto bruto, come a qualcosa che esiste al di là ed al di sopra di noi, abdicando ad sua analisi e comprensione, rifugiandoci, in reazioni emotive più semplici e meno onerose da gestire.

In questo scenario, secondo Castells, il solo modo per il Sé di entrare in una dialettica positiva con la Rete è legato al compiersi di quello che il sociologo definisce come processo di “individuazione” attraverso la partecipazione attiva e pro-attiva alla creazione di reti in quella che definisce virtualità reale (5), in quanto lo spazio dell’interazione digitale è altrettanto reale di quello fisico e non vi è discontinuità ma sinergia tra i due.

“(…)Il processo di “individuazione” non si limita ad una questione di evoluzione culturale, ma è materialmente prodotto dalle nuove forme di organizzazione economico-sociali e politiche. Come l’autore analizza nella sua trilogia, queste modificazioni si basano su una serie di cambiamenti intervenuti nella società: sulla trasformazione dello spazio (vita metropolitana), del lavoro e dell’attività economica (nascita dell’impresa in rete e dei processi lavorativi in rete), della cultura e della comunicazione (passaggio dalla comunicazione di massa basata sui mass media all’auto-comunicazione di massa basata su Internet); sulla crisi della famiglia patriarcale, con una crescente autonomia dei suoi membri individuali; sulla sostituzione della politica dei media alla politica dei partiti di massa; e sulla globalizzazione come messa in rete selettiva di luoghi e processi in tutto il pianeta.” (Castells 2013)

Il concetto di “individuazione” nella lettura del sociologo non sta a significare atomizzazione o  isolamento, tanto meno aspira a rappresentare la morte delle comunità. Per l’autore ciò che avviene attraverso il processo di “individuazione” è che la socievolezza e la costruzione della comunità viene traslata in rete e ri-declinata in forma individuale e si esprime attraverso la ricerca di individui affini in un processo che combina l’interazione online con quella offline, il cyberspazio e lo spazio locale in chiave “phygital” (contrazione di Digital e Physical). “L’individuazione” è pertanto il processo chiave nella formazione e costituzione dei soggetti individuali o collettivi che costituiscono queste reti e il networking è la forma organizzativa e relazionale costruita da questi soggetti; si tratta di quella forma di socialità che Rainie e Wellman (2012) hanno concettualizzato e definito come “networked individualism” mentre le tecnologie di rete altro non sono che lo strumento che ha permesso a questa nuova struttura sociale e a questa nuova cultura di nascere crescere e diffondersi.

Tale interpretazione secondo Castells è oramai un dato acquisito, supportato da dati empirici e solide basi scientifiche. La ricerca accademica, secondo i dati e le ricerche riportati dall’autore in varie pubblicazioni, ha infatti da tempo dimostrato che Internet non solo non isola le persone o ne riduce la socievolezza, ma che in realtà contribuisce ad accrescere il livello di socievolezza degli individui, come dimostrato dagli studi dello stesso Castells in Catalogna (Castells 2007), da quelli Rainie e Wellman negli Stati Uniti (2012), da quelli di Cardoso in Portogallo (2010), e dalla World Internet Survey a livello globale (Center for the Digital Future 2012 et al.). Inoltre, un importante studio di Michael Willmott per la British Computer Society (Trajectory Partnership 2010), citato dallo stesso Castells in una pubblicazione del 2013, ha dimostrato una correlazione positiva, per gli individui e per i Paesi oggetto dell’indagine, tra la frequenza e l’intensità dell’uso di Internet e il livello di salute psicologica e gli indicatori di felicità personale. Secondo tale studio l’effetto è  particolarmente positivo per le persone con un reddito più basso e che sono meno qualificate, per le persone nel mondo in via di sviluppo e per le donne, dimostrando quanto Internet contribuisca anche alla crescita della cultura dell’autonomia.

Secondo Castells(2013): “La chiave del processo di individuazione è la costruzione dell’autonomia da parte degli attori sociali, che diventano soggetti nel processo. Lo fanno definendo i loro progetti specifici in interazione con le istituzioni della società, ma senza sottomettersi ad esse. Questo è il caso di una minoranza di individui, ma per la loro capacità di guidare e mobilitare introducono una nuova cultura in ogni ambito della vita sociale:  nel lavoro (l’imprenditorialità), nei media (il pubblico attivo), in Internet (l’utente creativo), nel mercato (il consumatore informato e proattivo), nell’educazione (gli studenti come pensatori critici informati, rendendo possibile la nuova frontiera della pedagogia e-learning e  m-learning), nella salute (il sistema di gestione della salute centrato sul paziente) nell’e- government (il cittadino informato e partecipativo), nei movimenti sociali (il cambiamento culturale dalla base, come nel femminismo o dell’ambientalismo), e nella politica (il cittadino indipendente capace di partecipare a reti politiche autogenerate).”

In base agli studi empirici a cui fa riferimento il sociologo, vi sono inoltre sempre più prove della relazione diretta tra Internet e l’aumento dell’autonomia sociale. Castells vede in internet e nei processi di “individuazione” ad essa collegati un strumento di democratizzazione, coesione e presa di coscienza di problemi comuni e reali che consente agli individui di connettersi tra loro  e di autorganizzarsi in movimenti che possono aspirare a produrre dei cambiamenti positivi per la società. 

Per il sociologo, ad esempio, vi è una correlazione diretta tra la nascita di movimenti di emancipazione e protesta che hanno unito cittadini di tutto il mondo nell’ultimo ventennio. 

“Nella prima decade del XXI secolo ci sono stati molteplici  movimenti sociali in tutto il mondo che hanno utilizzato Internet come spazio di formazione e connettività permanente, tra i movimenti e con la società in generale. Questi movimenti sociali in rete, formati nei social network, si sono mobilitati nello spazio urbano e nello spazio istituzionale, inducendo nuove forme di movimenti sociali che sono i principali attori del cambiamento sociale nella società della rete. I movimenti sociali in rete sono stati particolarmente attivi a partire dal 2010, in particolare nelle rivoluzioni arabe contro le dittature, in Europa e negli Stati Uniti come forme di protesta contro la gestione della crisi finanziaria, in Brasile, in Turchia, in Messico e in contesti istituzionali e condizioni economiche molto diverse. È proprio la somiglianza dei movimenti in contesti estremamente diversi che permette di formulare l’ipotesi che questo sia il percorso dei movimenti sociali caratteristico della società globale in rete. In tutti i casi si osserva la capacità di questi movimenti di auto-organizzarsi, senza una leadership centrale, sulla base di un movimento emotivo spontaneo. In tutti i casi c’è una connessione tra la comunicazione basata su Internet, le reti mobili e i mass media in diverse forme, che si alimentano a vicenda e amplificano il movimento a livello locale e globale. (…) Questi movimenti hanno luogo nel contesto dello sfruttamento e dell’oppressione, delle tensioni sociali e delle lotte sociali; ma le lotte che non sono state in grado di sfidare con successo lo stato in altri casi di rivolta sono ora alimentate dagli strumenti di auto-comunicazione di massa. Non è la tecnologia che induce i movimenti, ma senza la tecnologia (Internet e la comunicazione senza fili) i movimenti sociali non assumerebbero la forma attuale di sfida al potere statale. Il fatto è che la tecnologia è cultura materiale (idee portate nel design) e Internet ha materializzato la cultura della libertà che, come è stato documentato, è emersa nei campus americani negli anni ’60. Questa tecnologia fatta cultura è all’origine della nuova ondata di movimenti sociali che esemplifica la profondità dell’impatto globale di Internet in tutte le sfere dell’organizzazione sociale, influenzando in particolare i rapporti di potere, fondamento delle istituzioni della società.” (Castells, 2013) 

Castells è pertanto giunto ad ipotizzare che Internet, consentendo per la prima volta di combinare gli effetti di una tenuta fiduciaria delle relazioni personali ad un livello di interconnessione planetario, alle possibilità tecnologiche offerte dalle moderne piattaforme ICT, sia in grado di generare un processo inedito  di “autocomunicazione di massa” che, oltre ad “accrescere l’abilità del pubblico di produrre messaggi”, è capace di diffondere un sapere alternativo a quello imposto dalle autorità [Castells, 2009]. In breve, giacché potenzialmente chiunque può caricare un video, partecipare ai forum, scrivere su un blog o disseminare informazioni su Internet attraverso i social network, il potenziale impatto, i livelli di partecipazione e le possibilità di successo, di una qualsiasi iniziativa civica dal basso risulterebbero  in questo modo enormemente accresciuti. Da questo punto di vista Castells sembrerebbe vicino a quella corrente di pensiero e di opinione che ha sostenuto e tuttora sostiene che il diffondersi del Web e delle piattaforme di social networking avrebbero “democratizzato l’accesso agli strumenti per creare contenuti capaci di segnare una differenza politica” (Chadwick 2006), favorendo una “politica insorgente” che sottrae individui e comunità dalla disaffezione verso le forme classiche dell’impegno politico, civico e sociale, consentendo a movimenti sociali nuovi (per forme, fini, scopi e modalità di diffusione e autorappresentazione) di raggiungere e attivare, valorizzandole, le energie latenti nella società, riuscendo a coinvolgere alla partecipazione anche figure sociali storicamente escluse, che attraverso questi movimenti autogenerati possono anch’esse tramutarsi in “soggetti decisivi dell’innovazione”.

Tuttavia c’è un’altra faccia della medaglia. Infatti se per Castells internet rappresenta lo “spazio della libertà” (Castells, 2013), e forse, in una prima fase, è stato davvero così, secondo l’opinione di altri eminenti scienziati sociali, filosofi ed intellettuali, internet si è rapidamente trasformata in qualcosa di molto diverso: un luogo fatto di oligopoli, di manipolazione, un luogo in cui i processi di “individuazione” sono spesso eterodiretti e l’autocomunicazione di massa e i movimenti autorganizzati vengono spesso sfruttati, strumentalizzati, attaccati, stigmatizzati, marginalizzati o peggio ignorati.

In questa ottica, Castells, a detta di alcune voci critiche, sembrerebbe in parte non assegnare la dovuta importanza ad almeno tre elementi fondamentali. 

Il primo elemento è certamente la funzione di gatekeeping svolta della rete attraverso la cosiddetta informazione autoprodotta e i pericoli che sottendono alla diffusione virale in rete di questo tipo di informazione spesso completamente priva di fonti e verifiche formali. Infatti come afferma il sociologo Italiano Andrea Miconi “(…)è assai discutibile attribuire all’informazione autoprodotta un peso che non può avere, perché una tale dilatazione della sfera pubblica, in cui ognuno può immettere tutto quello che vuole, rimanda inevitabilmente a un momento di selezione successiva, forse meno codificata ma perfino più selvaggia di quella imposta dai media generalisti.” (Miconi, 2019). 

Il secondo elemento è collegato agli effetti della diffusione su scala globale dell’informazione autoprodotta e al ruolo di re-intermediazione da parte degli stessi media attraverso cui viene prodotta e diffusa. Se è vero, come affermano alcuni, che il potere, per mantenere alto il controllo sulla popolazione, ha sempre gestito (direttamente o indirettamente) informazione e controinformazione, nell’epoca della post-verità l’informazione autoprodotta complica lo scenario mescolandosi in quel calderone che è il WEB a quella prodotta dai canali ufficiali, alla controinformazione (libera o pilotata) e alle cosiddette fake news creando una sorta di “regime di sovra-informazione”, generando una saturazione informativa capace di diluire la capacità critica, distrarre l’attenzione e generare un tale rumore di fondo da rendere vana qualsiasi forma di genuina di controinformazione (uno dei rari casi in cui il tutto è, in termini di efficacia informativa, nettamente inferiore alla somma delle parti). Per queste ragioni, venuta a mancare la funzione di mediazione e di filtro dei media tradizionali/generalisti e incrinata agli occhi dell’opinione pubblica la loro affidabilità e credibilità, la rete diviene il luogo di un sapere tautologico, effimero e autoreferenziale, spesso re-intermediato attraverso i loro algoritmi da social network e motori di ricerca. Questo contribuisce ad immergere gli individui in blob informazionale in cui finiscono per coesistere tutto e il contrario di tutto.  In questo modo, in assenza di modelli di oggettivazione universalmente riconosciuti resta al singolo l’onere di ricostruire la trama del vero, in un processo in cui (spesso, come dicevamo, con la complicità degli algoritmi di social network e motori di ricerca), quest’ultimo finisce per restare prigioniero della propria bolla informativa, pronto a  selezionare, per mantenere intatta la propria zona di comfort, unicamente le informazioni che sostengono e danno conforto alle sue tesi, quelle fonti, voci ed opinioni attraverso cui i propri pregiudizi e i propri apriori trovano conferma venendo fuori rafforzati in un processo di feedback incrociati con quelli di altri individui che hanno il suo stesso punto di vista e dall’implicito conflitto con coloro che, in gran parte dei casi, vittime dello stesso processo, hanno opinioni opposte alle loro. Una sorta di ribaltamento dell’ermeneutica Gadameriana, in cui sono i pre-giudizi a fungere da chiave di lettura nei  processi interpretativi.

Ultimo, ma non per importanza, strettamente connesso ai primi due, è senza dubbio la questione dei dati, della loro proprietà, della loro mercificazione e del loro utilizzo per scopi privati. Quello dei dati, infatti, è proprio il nodo gordiano della libertà e della neutralità della rete. Infatti, il loro utilizzo a sostegno di interessi particolari attraverso sistemi di big data analysis e delle AI hanno condotto verso derive distopiche degne di P.K. Dick o del più recente Black Mirror. Non parliamo semplicemente di una mera mercificazione dei  dati, ma parliamo di un loro utilizzo per perpetrare avanzate tecniche manipolazione e controllo su singoli, gruppi, comunità e persino intere nazioni. (Non mi addentrerò oltre nella trattazione di questo argomento poichè troppo vasta e oltre il perimetro e lo scopo di questo scritto). 

Per concludere, certamente l’avvento di Internet, avrebbe dovuto/potuto comportare – almeno così era negli auspici di molti – un cambiamento epocale nei processi di democratizzazione, condivisione e accessibilità delle risorse e delle informazioni, un modello capace di stimolare la nascita di iniziative dal basso, la partecipazione e l’attivismo sociale, la circolazione in real time a livello mondiale di buone pratiche, idee e progetti, un movimento, anche di pensiero, capace mostrare che un’alternativa bottom up era possibile. E, per certi versi, almeno nella fase iniziale, è davvero stato così.  Almeno fino a che, fiutato l’affare, quell’istanza di cambiamento non è stata letteralmente soffocata dai grandi capitali e dalle bolle speculative. 

Oggi, a distanza di poco più di vent’anni, la verità, è che poco o nulla sembra essere davvero cambiato. Nel volgere di  pochi lustri anche il controllo della ricerca, delle tecnologie e del valore prodotto sul WEB, ha finito per concentrarsi nelle mani di pochi grandissimi e potentissimi monopoli e oligopoli globali, grandi società transnazionali, partecipate/controllate da grandi banche e fondi investimento, che hanno i mezzi economici e finanziari per accaparrarsi i migliori cervelli e le migliori tecnologie che il denaro possa comprare, ponendo insormontabili barriere all’ingresso a qualsiasi iniziativa nasca dal basso senza sufficienti capitali e l’appoggio del sistema finanziario. 

Come ha ribadito pochi mesi fa Morozov in un suo articolo:  “non è un caso che sia necessario creare una startup ben finanziata per sfruttare appieno l’intelligenza artificiale e il cloud informatico, ma è il risultato di politiche deliberate. Il risultato è che gli sforzi più rivoluzionari, che potrebbero dar vita a istituzioni di coordinamento sociale senza fini di lucro, muoiono in fase embrionale. Non è un caso se da vent’anni non nasce una nuova Wikipedia.”

E’ davvero desolante vedere come l’impegno, la creatività, la conoscenza profusi da alcune delle migliori menti della nostra generazione – o quantomeno dalle migliori menti che il denaro e il potere, direttamente o indirettamente, possano comprare sul mercato –  siano ancora una volta orientati, spesso inconsapevolmente, alla costruzione delle fortune personali di pochi individui e alla manipolazione socio-economico e politica di persone, mercati, comunità e persino di intere nazioni.

Buona parte di loro rappresenta davvero il meglio che il mercato possa offrire. Lo dimostra il fatto che le strategie di manipolazione, così come le tecnologie sviluppate a loro corredo, sono sempre più pervasive e penetranti, capaci di lavorare ad un livello profondo, tanto complesse, sofisticate ed efficaci quanto surrettizie e apparentemente inoffensive e quindi ancora più semplici da inoculare. E’ così che, in gran parte dei casi, dissipati i fumi dell’entusiasmo, tra le maglie del tecno-ottimismo imperante che accompagna le loro scoperte, si fa largo inarrestabile un disumanesimo desolante, devastante e paradossale. 

D’altra parte, in buona parte dei casi, l’obiettivo primario richiesto a questi individui straordinari, il metro attraverso cui vengono misurati e valutati, è uno e uno soltanto: far sì che il denaro generi ancora più denaro.

Il risultato è che, buona parte di loro, dedica gli anni più produttivi della propria esistenza a sviluppare soluzioni tecnologiche altamente innovative (disruptive direbbero gli inglesi) per risolvere problemi di capitale importanza per il genere umano come quello di incrementare il numero di click, mi piace e interazioni sui social network – migliorando le conversioni degli inserzionisti (poco importa che promuovano grandi brand, il gioco d’azzardo, mele biologiche o falli di gomma) – o di speculare di più, più rapidamente e in modo più efficiente attraverso robotrader basati su complessi algoritmi di big data analysis e AI capaci di riconoscere dei pattern nelle micro oscillazioni dei prezzi degli stock exchange e di portare a termine decine di migliaia di contrattazioni al secondo. 

Di esempi ce ne sarebbero tanti altri, forse troppi. Taylorismo digitale, riduzione della necessità di lavoro umano, disintermediazione di interi settori, precariato digitale… Siamo davanti a progressi tecnologico-scientifici eccezionali collegati a modelli di business sempre più efficaci e sofisticati  tuttavia progettati con l’unico scopo di ridurre i costi (o di accollarli alla collettività) e di incrementare i profitti, concentrando sempre più potere nelle mani di pochi, lasciandosi spesso alle spalle dei costi sociali enormi accompagnati da una colossale perdita di senso.

Big Data, Intelligenza artificiale, IOT, zettabyte di dati, un mondo connesso in real time con una capacità di calcolo e di analisi impensabile fino a pochi lustri fa, un potenziale enorme in termini di miglioramento della vita di ognuno di noi. Le possibilità per ripensare  la nostra società, la nostra economia, le nostre vite in un’ottica di bene comune, e in questo non si può che concordare con Castells (e tanti altri)sarebbero davvero infinite. Ma ancora una volta la direzione sembrerebbe essere un’altra. Come spesso è accaduto in passato, forse dovremmo arrenderci al fatto che i frutti del progresso e della tecnica non nascono per essere distribuiti a diretto beneficio della collettività ma per restare saldamente nelle mani di pochi – monopoli e oligopoli – che li sfruttano a loro esclusivo vantaggio: massimizzare i profitti (a vantaggio di pochi), minimizzare i costi (a discapito di tanti) e incrementare la propria posizione dominante sul mercato e sulle nostre vite.

Questo non significa che le nuove tecnologie non abbiano comunque consentito (e ancora di più lo faranno in futuro) di accelerare i processi di innovazione e di miglioramento materiale delle nostre vite, di creare e diffondere nuove forme di partecipazione politica, economica, civica e sociale ma, nel relazionarci a loro, non dovremmo mai dimenticare che la direzione verso la quale portano risiede nei valori di chi le progetta e di chi le utilizza. Da questo punto di vista, in fondo, cosa accadrà in futuro dipende ancora volta solo da noi e dalla nostra capacità di essere parte attiva del cambiamento che vorremmo vedere nel mondo, dai valori che sapremo trasmettere e dalla qualità delle relazioni che saremo in grado di costruire reciprocamente, per non finire con l’essere anche stavolta “solo polvere negli stivali della storia”.


 

Note

  1. Per Castells, il termine “informazionale” sta a indicare, invece, «l’attributo di una specifica forma di organizzazione sociale in cui lo sviluppo, l’elaborazione e la trasmissione delle informazioni diventano fonti basilari di produttività e potere grazie a nuove condizioni tecnologiche emerse in questo periodo storico» (Castells 2002.)
  2. La quarta rivoluzione ha portato alla luce la natura intrinsecamente informazionale dell’uomo. A partire dagli anni cinquanta del secolo scorso (con una importante accelerazione negli ultimi 25 anni) l’informatica e le ICT hanno modificato non solo la nostra interazione con il mondo ma anche la comprensione di noi di stessi. Sotto molti profili questo nuovo modello di interazione ha gradualmente fatto emergere in maniera evidente il fatto che, in quanto essere umani, non siamo entità isolate quanto piuttosto organismi informazionali interconnessi, o inforg, che condividono con agenti biologici e artefatti ingegnerizzati un ambiente globale costruito in ultima analisi dalle informazioni, l’infosfera. Quest’ultima è l’ambiente informazionale costituito da tutti i processi, servizi ed entità informazionali che includono gli inforg così come le loro proprietà, interazioni e relazioni reciproche.[Floridi 2010]
  3. Una serie di eventi storici imprevisti e di tendenze innovative hanno modificato nel profondo il paesaggio umano nel periodo di transizione tra il secondo e il terzo millennio. Lo sviluppo e la penetrazione delle tecnologie informatiche e delle telecomunicazioni, come pure delle biotecnologie; il crollo dell’Unione Sovietica e la scomparsa del movimento comunista internazionale; la fine della guerra fredda; le progressive ristrutturazioni del capitalismo; l’emergere in maniera irresistibile del processo di globalizzazione; l’imporsi sullo scenario economico mondiale dell’area del Pacifico; l’ondata dei nazionalismi di varia natura; l’esplosione dei localismi quale manifestazione di resistenza alla mondializzazione, soprattutto nella forma del fondamentalismo religioso; l’appannarsi dello Stato-nazione; la perdita di legittimità della democrazia rappresentativa quale istituzione, colpita in Occidente dal fenomeno dell’antipolitica; l’ascesa del femminismo e il lento disfacimento del modello patriarcale; il radicarsi di una coscienza ecologica e del rischio ambientale; l’espansione di un’economia criminale globale sempre più influente (Panarari, 2021).
  4. Nelle recensioni e nei commenti pre-pubblicazione sulle copertine della trilogia di Castells sull’era dell’informazione è accolto come un risultato superlativo. Anthony Giddens afferma che non è fantasioso confrontare il lavoro con Economy and Society di Max Weber. Peter Hall lo paragona al Capitale di Marx. Alain Touraine lo definisce in anticipo un classico del 21° secolo. Secondo Fernando Cardoso è “un capolavoro, che svela la logica del sistema delle civiltà contemporanee, portando alla luce il significato delle società dell’informazione”
  5. La virtualità reale è definita dall’autore come “un sistema in cui la realtà stessa è interamente catturata, completamente immersa in un ambiente di immagine virtuale, nel mondo del far credere, in cui le apparenze non sono solo sullo schermo attraverso il quale viene comunicata l’esperienza, ma diventano l’esperienza stessa.” (Castells, 1996).