Money is (not) neutral. Parte 2: La lezione di YAP

Quando la notizia di questo strano sistema monetario raccontato da Furness cominciò a diffondersi in occidente, il sistema dei RAI venne visto da buona parte degli studiosi di economia come un unicum, come una bizzarra eccezione.

Con il passare del tempo, tuttavia, con l’accumularsi delle prove storiche ed etnografiche, Yap appariva sempre meno come un’anomalia e sempre più come un caso esemplare.

Così, mentre da una parte, tra gli economisti, a dispetto degli sforzi profusi, nessun ricercatore riuscì a trovare una società, passata o contemporanea, che usasse commerciare abitualmente ed esclusivamente tramite il baratto. Dall’altra, già nei primi anni 80 del secolo scorso, i maggiori antropologi del denaro consideravano ormai chiusa la questione:

«Il baratto, nel senso stretto di scambio di mercato senza denaro, non è mai stato un tipo di transazione quantitativamente importante o dominante in nessun sistema economico passato o presente su cui abbiamo informazioni certe» George Dalton nel 1982.

«Non è mai stato descritto alcun esempio di economia di baratto pura e semplice, né tantomeno che abbia dato origine al denaro; tutta l’etnografia disponibile indica che non è mai esistito nulla di simile», concludeva Caroline Humphrey, antropologa di Cambridge.

Come ci ricorda con un pizzico di ironia Felix Martin “la notizia cominciò a serpeggiare addirittura tra le frange più intellettualmente vivaci ed avventurose della professione economica.”

Ad esempio, nella seconda edizione della Storia della finanza nell’Europa occidentale, pubblicata nel 1993, il grande storico dell’economia americano Charles Kindleberger, scrisse «Gli storici dell’economia hanno talvolta affermato che l’evoluzione dei rapporti economici si è mossa da un’economia naturale o di baratto a un’economia monetaria e infine a un’economia di credito. Questa opinione fu avanzata, per esempio, nel 1864 da Bruno Hildebrand della scuola di economia storica tedesca», prosegue Kindleberger in maniera laconica, asciutta e perentoria «si dà il caso che essa sia errata».

Alla fine del XXI secolo, fra coloro che si erano dimostrati interessati alle prove empiriche (tra questi ben pochi economisti), era stata ormai raggiunta una rara unanimità nel ritenere falsa l’idea convenzionale che il denaro fosse nato dal baratto.

Come ribadito in maniera netta e definitiva con dovizia particolari e ricchezza di argomentazioni dall’antropologo David Graeber nel suo libro “Debito: i primi 5000 anni”: «Non [ci] sono prove che sia accaduto, e una mole enorme di prove a indicare che non è accaduto».

Graeber (2011), sulla base di ampie prove antropologiche e storiche che risalgono a millenni, dimostra in maniera chiara e definitiva che, rebus sic stantibus, non c’è uno straccio di prova a supporto di questa storia.

Il baratto era praticamente inesistente nelle società primitive e antiche i cui sistemi economici si basa-vano in gran parte su meccanismi redistributivi e sul dono.

Le prime transazioni commerciali interne avvenivano sulla base di elaborati sistemi di credito la cui denominazione era tipicamente in prodotti agricoli, inclusi bestiame, grano in peso e strumenti. Come vedremo meglio in seguito quando parleremo del sistema pre-monetario in Mesopotamia. Mentre erano in taluni casi gli scambi esterni gestiti in maniera bilaterale, ma anche in questo caso di rado tramite un baratto diretto.

L’analisi di Graeber, così come quelle precedenti di Polanyi, Zarlenga e di altri, e i riferimenti citati nelle loro pubblicazioni sul tema, forniscono molte prove che questi sistemi di credito, e molto più tardi i sistemi monetari, nella maggior parte dei casi non hanno avuto origine dalle esigenze di rapporti commerciali privati, bensì da esigenze di natura religiosa e sociale di tipo cerimoniale o rituale.

Alla base del fraintendimento c’è un assunto, l’innata propensione degli uomini allo scambio commerciale, che, come detto in apertura, rappresenta un altro dei miti fondanti alla base dell’economia moderna. Anche in questo caso siamo davanti ad una teoria priva di qualsiasi riscontro storico, etnografico o antropologico.

Allo stesso modo, l’emergere, attraverso i meccanismi di selezione propri delle dinamiche di mercato, di merci che assurgono al ruolo di mezzo universale di scambio è anch’essa una “credenza” frutto di deduzioni basate sull’interpretazione di pochi e selezionati dati empirici sulla base di un approccio dogmatico. Parliamo di un atteggiamento ermeneutico che va alla ricerca di conferme ai propri dogmi, ai propri apriori e ai propri preconcetti, piuttosto che cercare criticamente di metterli in crisi per verificarli e validarli.

Alcuni fatti storici risaputi, come ad esempio l’utilizzo nel corso dei secoli di alcune merci come stru-mento di regolazione di partite commerciali, letti attraverso queste lenti, avevano tratto in inganno buona parte degli economisti moderni da Adam Smith in poi, ma l’idea stessa della moneta come moneta merce è stato e rimane frutto di un mero fraintendimento riguardo la natura stessa della moneta.

A questo proposito, Alfred Mitchell Innes, autore di due capolavori trascurati sulla natura del denaro, ad esempio pose fine alla discussione al problema dell’uso del merluzzo come moneta ufficiale da parte di alcune popolazioni nordamericane, in termini secchi ma precisi: “Basta un momento di riflessione per mostrare che una merce di prima necessità non poteva essere usata come denaro, perché ex hypothesi il mezzo di scambio è ugualmente ricevibile da tutti i membri della comunità. Pertanto se i pescatori avessero pagato le loro scorte in merluzzo, i commercianti avrebbero ugualmente dovuto pagare il merluzzo in merluzzo, un’evidente assurdità.”

Sia JM Keynes che Milton Friedman – senza dubbio ideologicamente non poco distante da Keynes – s’imbatterono nel non certo noto ai più libro di Furness.

Entrambi celebrarono il fatto che Yap fosse sfuggita alla convenzionale eppur malsana ossessione della moneta merce, e che la loro indifferenza al denaro in quanto possesso di un oggetto fisico lasciasse trasparire chiaramente che il denaro in definitiva non sia da considerare una merce, ma un sistema di misurazione crediti e debiti secondo un modello di compensazione multilaterale e multitemporale degli stessi.

Keynes scrisse: il libro di Furness «ci ha messi in contatto con un popolo le cui idee sulla valuta sono, con ogni probabilità, più autenticamente filosofiche di quelle di qualsiasi altro paese. Le pratiche moderne relative alle riserve d’oro hanno molto da imparare da quelle ben più logiche dell’isola di Yap»